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Conzatti, la donna deve contare. Ora istituire Commissione bicamerale

Conzatti, la donna deve contare. Ora istituire Commissione bicamerale

“La parità di genere è un principio di civiltà, un fatto culturale che deve permeare la nostra società. Come per la commissione europea, anche per l’Italia è giunto il momento di creare una commissione permanente o d’inchiesta che supervisioni tutti i provvedimenti che emanano le camere affinchè nessuno di essi possa nascondere un discrimine legato al genere. Inoltre, secondo il rapporto Ocse 2017, l’uguaglianza di genere non è unicamente un diritto umano fondamentale, ma rappresenta un’economia prospera e moderna, che punta ad una crescita sostenibile inclusiva.
Le questioni di cui la Commissione per i diritti della donna è uguaglianza di genere si dovrebbe occupare sono in particolare: il divario salariale, l’indipendenza economica delle donne, la povertà femminile, la maternità e la salute, la tratta degli esseri umani e la violenza contro le donne, i servizi all’infanzia e alla famiglia. Se vogliamo rendere effettivo il cambiamento e integrare la dimensione di genere in tutte le altre politiche dobbiamo fare lo sforzo di non inseguire le emergenze, ma di ragionare in termini costruttivi”.
Lo ha detto la senatrice di Forza Italia Donatella Conzatti introducendo la conferenza stampa di presentazione del disegno di legge trasversale sull’istituzione di una Commissione parlamentare per i diritti della donna e l’ uguaglianza di genere,di cui lei è prima firmataria. All’incontro hanno partecipato la capogruppo dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini, il capogruppo Pd Andrea Marcucci, l’ex ministro dell’istruzione Valeria Fedeli e la senatrice Isabella Rauti di Fratelli d’Italia.
“Non basta esserci – ha dichiarato la capogruppo Anna Maria Bernini – bisogna che le donne contino nella società. Crediamo che con questa Commissione, che nascerà all’inizio di una legislatura con cinque anni davanti, si possano fare molti progressi sulla parità di genere. Che deve essere effettiva, non denunciata. La trasparenza è essenziale perchè si raggiunga una concreta parità di genere.
Non siamo qui per l’ennesima denuncia, ma per una proposta. È finito il tempo delle denunce. Siamo qui per una iniziativa politica, la proposta di istituire una Commissione parlamentare (20 senatori e 20 deputati) “per i diritti della donna e la parità di genere”. Un organismo con compiti di indirizzo e di controllo sulla concreta applicazione della parità di genere, come richiesto dalla normativa internazionale e nazionale e in linea con la nostra Costituzione (articolo 3)”.
“Non siamo qui per l’ennesima denuncia” – ha spiegato la presidente Bernini – significa che siamo stanchi di dichiarare o fare conferenze stampa per condannare le discriminazioni. Noi vogliamo che le discriminazioni di genere spariscano concretamente dalla faccia dell’Italia, perché a volte denunciare ci salva la coscienza ma lascia le cose come stanno. Il rumore della denuncia ci dà l’impressione illusoria che tutto possa cambiare e cambierà, mentre poi la realtà è una zavorra che pesa. Ma la zavorra più grande è il pregiudizio. Basta retorica.
Il “denuncismo” serve a poco, noi vogliamo agire. Perciò proponiamo di ripetere in Italia l’esperienza europea della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere (FEMM). Noi vogliamo una strategia che vada oltre la condanna delle ingiustizie verso le donne giorno per giorno, e offra un ancoraggio stabile e un punto di riferimento permanente, dentro il Parlamento, per disinnescare all’origine le discriminazioni e verificare che poi le leggi vengano applicate. Noi vogliamo che questa Commissione sia composta, come in Europa, non soltanto da donne – ha aggiunto la capogruppo azzurra -E vogliamo che abbia il potere di verificare l’attuazione delle leggi e valutarne l’impatto di genere, promuovere iniziative, acquisire informazioni, svolgere attività di indagine e monitoraggio. Quest’ultima prerogativa è fondamentale. Tutti sappiamo infatti che uno dei pochi strumenti davvero efficaci contro i pregiudizi e le discriminazioni è la trasparenza.
La trasparenza è nemica del pregiudizio, fa emergere le ingiustizie, fa vergognare chi le compie e aiuta così a non ripeterle. In Islanda e nel Regno Unito, per esempio, la svolta è arrivata con l’obbligo stringente di pubblicare i salari da parte delle aziende, per cui le discriminazioni sono plateali, sotto gli occhi di tutti. Insomma, il pregiudizio è subdolo, la politica deve combatterlo con la pubblicità.
Cito spesso un esempio che mi sembra emblematico. Una straordinaria campionessa di tennis come Martina Navratilova, vincitrice di 18 titoli del Grande Slam, da commentatrice della BBC guadagna molto meno di John McEnroe che di Grandi Slam ne ha vinti sette. Il rapporto è 1 a 10: 15mila sterline per la Navratilova, 150mila per McEnroe. Un gap che è stata la stessa Navratilova a sottolineare proprio ai microfoni della BBC. La stessa ingiustizia per la quale, a parità di condizioni, nell’Unione Europea c’è una differenza nella busta paga del 16.2 per cento a favore degli uomini (va detto che in Italia questa differenza si riduce al 5.3, per quanto non sia questo l’unico parametro a definire la discriminazione di genere).
La disparità si accumula a fine carriera, e si è calcolato che in Italia il differenziale è mediamente quanto basta a comprarsi una casa.
La discriminazione salariale di genere è proprio quel residuo che deriva dalla sottrazione delle diverse caratteristiche individuali che influiscono sulla produttività. Cioè: a parità di età, titolo di studio, professione, livello di inquadramento, settore di attività, dimensione aziendale o contratto, e ancora numero di figli, intelligenza e affidabilità, se permane un gap nella retribuzione tra uomo e donna, quello è il residuo. Quella è la misura del pregiudizio e l’entità della discriminazione. Quella è la prova, confermata dalla psicologia cognitiva, che gli stereotipi di genere funzionano ancora.
Per un certo periodo la soluzione è stata interamente affidata alla politica delle quote rosa. Ma il paradosso è che l’esistenza delle quote rosa è la consacrazione dell’esistenza del pregiudizio di genere. Saremo veramente liberi, o libere, quando finiremo di dover denunciare la discriminazione. Quando finiremo di dover ricorrere alle quote rosa, nella composizione dei Cda come del Parlamento.
La Commissione che proponiamo valuterà l’efficacia delle quote rosa, ma vigilerà anche sulle situazioni concrete, sulle norme a ogni livello, e potrà valutare e proporre altre misure di argine al pregiudizio: come gli incentivi a rientrare al lavoro per le donne che hanno avuto figli. Più del congedo parzialmente remunerato, ci sarebbe bisogno di motivare e dare incentivi concreti a quella donna su quattro che, secondo le statistiche, una volta diventata madre abbandona il lavoro.
Guardate, io vado oltre. La disuguaglianza per me è un fattore positivo se intesa come ricchezza, come diversità. È la discriminazione il peggior nemico della diversità. Noi non vogliamo azzerare le differenze ma combattere le ingiustizie.
Di temi da affrontare ce ne sono – ha concluso Anna Maria Bernini – Dal divario salariale all’indipendenza economica delle donne, dalla povertà femminile alla penuria di donne là dove si prendono le decisioni, dalla tutela della maternità e della salute alla violenza contro le donne… La relazione annuale che la Commissione sarà tenuta a stilare, se ben fatta potrà essere una base di partenza, una sorta di manuale d’uso delle leggi a favore non della donna, ma della parità di genere. Un modo per costringere a passare dalle parole alle nuove leggi, alle nuove regole, alle sanzioni. Un modo per passare dalle parole ai fatti. Che è poi il grande problema del governo di oggi, e della politica di sempre.